5-plet: la particella che potrebbe far crollare la teoria delle stringhe

5-plet: la particella che potrebbe far crollare la teoria delle stringhe

Un’anomalia nei dati del CERN potrebbe svelare l’esistenza del 5-plet, una particella che la teoria delle stringhe non può spiegare — e con essa, forse, la natura della materia oscura.

Un test audace per la teoria delle stringhe: la sfida del 5-plet

Se una particella che non dovrebbe esistere venisse rilevata al Large Hadron Collider, la teoria delle stringhe potrebbe trovarsi a un punto di svolta. Allo stesso tempo, potremmo avvicinarci al mistero della materia oscura.

La teoria delle stringhe è da decenni uno dei candidati più promettenti per unificare le leggi fondamentali della fisica. Essa propone che tutte le particelle conosciute non siano punti indivisibili, ma minuscole stringhe vibranti, le cui modalità di vibrazione determinano le diverse proprietà delle particelle. Eppure, proprio per la sua natura matematica estremamente complessa e la necessità di energie inaccessibili agli attuali acceleratori, la teoria è rimasta in gran parte non verificata.

Un recente studio condotto da un team dell’Università della Pennsylvania, in collaborazione con l’Arizona State University, ha suggerito un nuovo approccio. Invece di domandarsi cosa la teoria delle stringhe sia in grado di predire, i ricercatori si sono chiesti cosa non possa in alcun modo produrre. E la risposta potrebbe costituire un test cruciale: una particolare famiglia di particelle, mai generata da alcuna formulazione nota della teoria delle stringhe, chiamata 5-plet.

Due pilastri in cerca di armonia

Il Modello Standard descrive con successo tutte le particelle fondamentali conosciute e tre delle quattro forze della natura: elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole. Tuttavia, non integra la gravità, che è invece perfettamente descritta dalla relatività generale di Einstein. Come ha affermato il fisico teorico Jonathan Heckman: “La gravità semplicemente non rientra nel Modello Standard”.

La teoria delle stringhe nasce proprio per colmare questa frattura, offrendo un quadro teorico che unifica tutte le forze fondamentali. Ma la sua eleganza teorica si scontra con una sfida sperimentale: le sue caratteristiche più distintive si manifestano solo a energie estremamente elevate, ben oltre quelle attualmente raggiungibili con strumenti come il Large Hadron Collider (LHC).

5-plet: la particella che potrebbe far crollare la teoria delle stringhe
5-plet: la particella che potrebbe far crollare la teoria delle stringhe

Il paradosso del 5-plet

Nel loro studio, Heckman e la dottoranda Rebecca Hicks hanno individuato una particolare famiglia di particelle che non appare in nessun calcolo derivante dalla teoria delle stringhe: un pacchetto da cinque particelle correlate, noto come 5-plet. Questo gruppo costituisce una versione estesa del più comune “doppietto” — come quello formato dall’elettrone e il suo neutrino — ma con una struttura a cinque componenti.

Heckman ha spiegato: ” Nessuna configurazione conosciuta della teoria delle stringhe prevede la comparsa spontanea di un 5-plet”.

Secondo Hicks, il 5-plet contiene al suo interno un fermione di Majorana, una particella che coincide con la propria antiparticella. Questa peculiarità lo rende particolarmente interessante anche in relazione a un altro grande mistero della fisica contemporanea: la materia oscura.

Un’impronta che scompare

Ma perché, se questo 5-plet esistesse, non è ancora stato rilevato?

La risposta sta in due fattori chiave: produzione e rilevabilità. La creazione di particelle così massicce richiede quantità enormi di energia (secondo la celebre formula di Einstein, E = mc²), che rendono questi eventi rarissimi. E anche quando si producono, i segnali lasciati nel rivelatore sono minimi.

Hicks ha descritto una situazione quasi cinematografica: “Le particelle cariche del 5-plet decadono quasi immediatamente in un pione tenue e una particella neutra invisibile. Il risultato è una traccia che scompare a metà del rivelatore, come impronte nella neve che si interrompono bruscamente.”

Questi segnali fugaci vengono ricercati nei rivelatori ATLAS e CMS del CERN, due “camere digitali” colossali capaci di monitorare ogni evento prodotto dalle collisioni protoniche.

Materia oscura: una nuova ipotesi

Il componente neutro del 5-plet potrebbe anche avere un ruolo cosmologico. Secondo Hicks: “Potrebbe spiegare almeno una parte della materia oscura, che rappresenta circa l’85% della materia nell’universo”.

Se la massa del 5-plet si aggirasse intorno ai 10 TeV (10.000 volte quella di un protone), si collocherebbe in una fascia energetica compatibile con le attuali teorie sulla formazione della materia oscura dopo il Big Bang.

Cosa sappiamo finora

Il team ha già analizzato dati raccolti dal rivelatore ATLAS durante sessioni precedenti dell’LHC, reinterpretando ricerche originariamente pensate per un altro tipo di particelle ipotetiche (i charginos, previsti dalla supersimmetria). Sebbene non sia emersa alcuna evidenza del 5-plet, i risultati hanno comunque fornito informazioni cruciali: qualsiasi particella 5-plet esistente deve avere una massa superiore ai 650–700 GeV, circa cinque volte quella del bosone di Higgs.

Heckman ha dichiarato: “Questo è già un dato significativo, esclude la presenza di 5-plet leggeri. Ma quelli più pesanti restano una possibilità molto concreta.”

Una scommessa ad alto rischio

Le ricerche future, grazie al potenziamento dell’LHC, potranno esplorare nuove regioni energetiche. E il risultato sarà importante in ogni caso.

Hicks ha sottolineato: “Non stiamo cercando di dimostrare che la teoria delle stringhe sia sbagliata. Vogliamo metterla alla prova nei suoi limiti.”

In altre parole, se la teoria delle stringhe supera la prova del 5-plet, ne uscirà rafforzata. Ma se fallisce, potremmo trovarci di fronte a una svolta epocale. Una singola particella potrebbe contemporaneamente minare una delle più ambiziose teorie della fisica moderna e far luce su uno dei più grandi misteri cosmici: la natura della materia oscura.

Fonte: Physical Review Research

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